LA RESISTENZA PARTIGIANA DALLE NOSTRE PARTI

Gli orrori delle guerre e delle dittature

 

Ogni guerra è sempre ed inevitabilmente un gravissimo evento che colpisce in particolar modo le fasce più deboli della popolazione. Essa stravolge orribilmente gli eventi naturali sino al paradosso di far seppellire i figli dai padri e non viceversa come, seguendo natura, dovrebbe essere.

Le popolazioni civili hanno sempre patito il peso degli eventi bellici sin dalla notte dei tempi ed anche a Val della Torre esse furono gravate dalla somministrazione alle forze armate di quadrupedi, carri, derrate, fieno, paglia ed anche uomini (Prato P. – “Alcune notizie storiche riguardanti Val della Torre” – Capo XIX – Del Comune). Gli stessi uomini che spesso non tornarono più alle loro case lasciando genitori, mogli e figli in lacrime e miseria.

E' quindi impensabile una guerra, sia essa condotta per riacquistare la pace o per altre ragioni, senza un tributo da parte della gente comune. Quest'affermazione basta di per sè a far aborrire ogni guerra perchè non esiste alcuna causa che giustifichi l'uccisione di un uomo.

Il fascismo volle la guerra e mandò la gioventù italiana allo sbaraglio in nome dell'Asse Roma – Berlino. Poi, non pago, nell'ottobre 1940 aggredì la Grecia, senza che da essa ci fosse venuta alcuna provocazione. Chi ha avuto dei congiunti morti non ha certo condiviso le decisioni di Mussolini, essi hanno toccato con mano l'atrocità di quell'evento. Chi ha potuto ascoltare i racconti dei reduci ancor oggi rabbrividisce. Chi non è stato sfiorato da questa tragedia può umanamente far finta di nulla?

Le condizioni imposte da una dittatura facevano e fanno pesare sulla popolazione, oltre agli aspetti economici, anche la perdita della libertà. Fatto questo che si riscontra nella normale vita quotidiana anche di un paese come Val della Torre. Ezio Capello, nel suo libro “Portìa 1870 – 1993”, racconta i disagi sopportati per celebrare un normale matrimonio nel 1944.

La perdita della libertà non è apparentemente così atroce come la morte ma, se ci soffermiamo un istante, possiamo vedere come la morte violenta sia figlia dell'alienazione della libertà. Nei regimi totalitari, di qualsiasi colore essi siano stati, molte persone innocenti ed inermi vennero giustiziate, dopo processi farsa, solo perchè si permisero di dissentire democraticamente dalla legge dittatoriale. La libertà deve consentire all'uomo di esprimere i propri pensieri, nel rispetto degli altri e senza timori. Ricordiamo però che, come il compiano cantautore Giorgio Gaber ebbe a cantare: “la libertà non è star sopra un albero, non è neanche avere un'opinione, la libertà non è uno spazio libero, libertà è partecipazione”.

Quando l'uomo viene privato della propria libertà, incarcerato, vilipeso e ucciso da un regime totalitario come può reagire alla sopraffazione del più forte?

Nel marzo 1943 iniziarono gli scioperi contro il fascismo e contro la volontà del regime di continuare la guerra ma la protesta democratica non bastò. Che cosa si sarebbe dovuto fare? Chiudere gli occhi su atrocità come le deportazioni naziste, le leggi razziali, le limitazioni della libertà ed altro ancora? No, la consapevolezza che ci toccava la nostra parte di responsabilità nel debellare il nazismo e la connivente dittatura fascista ha preso il sopravvento. Prima le Forze Armate nelle giornate che seguirono l'armistizio (8 settembre) poi i Partigiani e la popolazione civile, reagirono.

Certo, anche la popolazione civile poichè è impensabile che le brigate partigiane sarebbero sopravvissute senza il grande appoggio della gente comune che ha collaborato in tantissimi modi. So di ragazze che cucivano maglioni per i giovani che erano su in montagna, di contadini che nascondevano e sfamavano Partigiani, di vedove a causa degli eventi bellici recenti che vestivano Partigiani con gli abiti dei loro cari defunti, e di attestazioni di gratitudine verso quei giovani che difendevano la libertà di tutti noi.

Fig. 1

Un metro di misura

 

La caduta del muro di Berlino fu festeggiata da tutti noi come un evento foriero di pace e democrazia. Finalmente i segni di una dittatura crollavano dopo anni di morti senza il bisogno di spargere altro sangue. Purtroppo qui non fu così ed il crollo del fascismo in Italia costò il sacrificio di numerose giovani vite. Noi non possiamo, per coerenza etica, fare distinzioni infondate discutendo, come si suole dire, sul sesso degli Angeli; le dittature sono tutte uguali e alienano i diritti fondamentali quali la libertà di parola e di opinione. Certo, forse è garantito in alcuni regimi un tenore di vita decente; ma a che serve vivere come buoi in una stalla dove ricevono cibo, cure e pulizie, ma non possono uscire perchè potrebbero ribellarsi al vaccaro vedendo la vita esterna? L'uomo deve vedere, confrontare e scegliere liberamente.

Ricordo la frase che l'Ulisse dantesco dice ai propri compagni di ventura: “ Considerate la vostra semenza: fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e conoscenza” (Dante Alighieri – “La divina commedia” – Inferno canto XXVI, versi 118-120). Ecco, l'espressione divina del Creatore che non ci ha generati per restare nell'abbrutimento più abietto, ma per elevare il nostro spirito nella virtù e nella conoscenza.

Ecco perchè molti religiosi hanno scelto l'antifascismo come esternazione della loro fede. Basti per tutti ricordare Don Luigi Sturzo, sacerdote siciliano che fondò il Partito Popolare Italiano (quello che diventerà poi la Democrazia Cristiana). Fu convinto antifascista tanto da schierare il suo partito contro Mussolini.

L'uomo non ha morali diverse per eventi diversi. La morale è unica e non ammette angherie di nessun genere sui nostri simili, ciò a prescindere dal credo religioso.

In una biografia Pertini afferma: “C'è qualcuno che pensa che in politica bisogna far tacere la coscienza, perchè c'è una morale per l'uomo pubblico e un'altra per l'uomo privato. Tutte balle. Per me la morale è una sola, e chi è una canaglia nella vita pubblica lo è anche nella vita privata” ( Zampaglione A. – “Caro Antonio” – Cap.: Un italiano).

Come si può giustificare chi, grazie all'appoggio del regime fascista, ha ucciso 45 civili e incendiato 350 case a Boves (CN) solo perchè in quella zona si erano rifugiati numerosi alpini e bersaglieri dopo lo sbando dell'8 settembre? Di che cosa erano colpevoli i 45 civili? Questa fu pura rappresaglia verso gente inerme e non fu che un anello della sanguinosa catena di repressioni.

Fig. 2

Partigiani e furfanti

Quando per mantenere la liberà si è costretti ad un'azione di forza; ma non solo, direi in ogni pratica umana, tra le persone che hanno una morale ed un'etica si insinuano individui privi di queste qualità e con il loro comportamento denigrano, a volte gravemente, l'opera altrui.

Orbene eventi simili sono successi anche nella Resistenza e, tra i Partigiani si sono intrufolati dei furfanti dediti alla razzia senza scrupolo. Questa gentaglia non è degna dell'appellativo di Partigiano se non nel senso più bieco del termine cioè partigiano di se stesso non già della Patria. Questa differenza è storica, non è nata oggi, già nel gennaio 1944 una circolare del Comando Militare di Torino ai Comandi Militari provinciali e allo Stato Maggiore dell'Esercito, suddivideva le bande partigiane in tre categorie. Alla terza categoria, la circolare recitava testualmente: “3) bande di delinquenti” (F. Leone – “Le brigate Garibaldi nel movimento partigiano in Italia” – Pag. 28). Dunque questa distinzione è doverosa, non si può far di tutta l'erba un fascio.

Com'è possibile che un uomo come Sandro Pertini, il Presidente più amato dagli italiani, che fu cantato da Cutugno in una sua celebre canzone come “un Partigiano come Presidente”; ebbene, com'è possibile che il suo comportamento durante la Resistenza non sia stato più che corretto. Non riesco ad immagine brutture compiute da una persona così retta e coerente da rifiutare i fasti degli alloggi presidenziali per mantenere la propria serena vita privata.

La coerenza di Pertini non ammette dubbi e se, secondo la definizione di E. A. Poe: “Una cosa è coerente in ragione della sua verità, è vera in ragione della sua coerenza. Una perfetta coerenza, ripeto, non può essere che un'assoluta verità” (E. A. Poe – “Eureka”), l'operato di Pertini non può essere che vero.

Questi sono i Partigiani non già chi ha rubato o si è arricchito alle spalle della povera gente affamandola. Questi furfanti hanno infangato un'ideale sacro e, quel che è peggio, hanno screditato agli occhi di molte persone che, nelle loro lordure non ha mai avuto a che fare.

Su una raccolta di testi di M. Argenton e P. Piacenti possiamo leggere “Fra i Partigiani della val Trebbia è ancora vivo il ricordo dello slancio con il quale i contadini offrivano cibo e rifugio, incuranti del sacrificio e del rischio personale. Questo spontaneo comportamento era anche stimolato dalla condotta dei patrioti. Gli abusi infatti furono rari e molte volte repressi; il bestiame o gli altri prodotti requisiti erano solitamente pagati in contante, talora con buoni poi effettivamente onorati dopo la Liberazione” (M. Argenton, P. Piacenti – “L'Italia dal fascismo alla Costituzione repubblicana”). Si, come si legge, bestiame e altri prodotti venivano requisiti, altrimenti quei giovani lassù in montagna sarebbero morti di fame poichè non avevano nelle retroguardie una struttura militare con tanto di reparto sussistenza. Ma penso che dallo sfamarsi allo speculare alle spalle della povera gente ci sia una bella differenza!.

Avvenuta la Liberazione i Partigiani, dopo aver sfidato fame, freddo e pallottole, sono tornati alle loro fabbriche o alle loro campagne senza aver guadagnato nulla dalla guerra se non un po' di gloria attribuitagli da chi ha saputo distinguere i furfanti dai Partigiani.

Mi si dirà: “è una bella storia ma la realtà…”. La realtà è quella esposta e se ognuno di noi, non proprio giovanissimi, ripensa alle persone conosciute che abbiano avuto a che fare con la Resistenza, sono certo che dalla propria memoria si concretizzerà il ricordo di un Partigiano vero; uno di quelli che, lassù in montagna, sognava Amore e Patria scrivendo poesie dettate dal cuore non già derubando con fredda lucidità.

L'uomo non può chiudersi nel proprio piccolo mondo trincerandosi dietro pretesti alquanto utilitaristici, i suoi figli ne usciranno e troveranno ciò che egli gli ha lasciato. In una lettera di Ethel Rosenberg inviata dal carcere al marito Julius, anch'egli in carcere, si legge: “Non dobbiamo fare della preghiera rivolta all'Essere Onnipotente un pretesto per sfuggire alle nostre responsabilità verso gli altri uomini nella lotta quotidiana per la giustizia sociale. Ebrei e gentili, bianchi e neri, tutti debbono combattere questa lotta, uniti con fermezza!” (E. e J. Rosenberg – “Lettere dalla casa della morte” – Lettera del 30 settembre 1951).

Non solo la preghiera, aggiungerei, ma qualsiasi banale pretesto è biasimevole. Ogni persona può, a seconda della proprie capacita, affrontare le sue responsabilità verso gli altri uomini senza nascondersi dietro a un dito per non trovarsi a dire un giorno “…mi accorgo che ho vissuto un solo lungo isolamento, una futile vacanza, come un ragazzo che giocando a nascondersi entra dentro un cespuglio e ci sta bene, guarda il cielo da sotto le foglie, e si dimentica di uscire mai più.” (C. Pavese – “La casa in collina” – Cap. XXIII).

Ecco, i Partigiani, quelli veri, hanno fatto ciò che Ethel Rosenberg ha scritto al marito poco prima che entrambi venissero ingiustamente uccisi sulla sedia elettrica.

Fig. 3

I primi mesi della mobilitazione

Don Giovanni Vitrotti, parroco di Alpignano dal 31 gennaio 1932 al 1968, pubblicò, nel 1970, il volume “Cronistoria alpignanese”; ed è proprio da questa fonte che, con riferimento al settembre 1943, apprendiamo che: “Corre voce che circa 500 giovani si trovino sul colle del Lys, intenti, sotto la guida di ufficiali, ad organizzarsi per la guerriglia contro i tedeschi”. A conforto di quanto scritto dal parroco di Alpignano si ha notizia di bande partigiane che, in quel periodo, si trovavano sparse a Villardora, Almese, Rubiana e Val della Torre. Il compito di questi raggruppamenti fu inizialmente organizzativo per poi concretizzarsi in operazioni di sabotaggio e raggiungere, col tempo, la vera e propria insurrezione armata contro i tedeschi e la dittatura fascista.

Sin da questi primi mesi ebbe inizio lo stillicidio di morte che le milizie tedesche e le brigate nere perpetrarono nei confronti di quelli che definivano “ribelli”. Una lapide muraria, situata in via Mulino angolo via Trucco Rossato a Val della Torre, ricorda alcuni giovani partigiani stroncati barbaramente dal piombo nazifascista il 7 ottobre 1943 (fig. 1).

Sul finire del 1943, i gruppi partigiani della bassa Val Susa furono raggiunti e guidati da ufficiali, come Carlo Carli, Walter Fontan, Marcello Albertazzi e Felice Cima, che, con il loro coraggio e la loro intraprendenza, diedero vita alla resistenza nei nostri territori. Fu Felice Cima che assunse la guida dei partigiani dislocati nella zona tra Condove e le porte di Torino, coprendo anche Val della Torre. Il primo compito assolto da questi partigiani fu lo svolgimento di azioni offensive di largo respiro tra le quali si può ricordare l'attacco, avvenuto il 6 novembre 1943, alle casermette di Borgone e, sempre in novembre, le operazioni atte a far saltare i binari della ferrovia per Torino e appoggiare così gli scioperi nel capoluogo. Il 25 novembre, il gruppo di Cima attaccò, presso Condove, un colonna di autoblindo tedesche. Questa azione provocò una reazione da parte del comando tedesco di zona che si limitò a proclamare il coprifuoco da Susa ad Avigliana dalle 18 alle 7. Due giorni dopo, il 27 novembre 1943, il comandante Felice Cima, di ritorno da una riunione tra i responsabili dei vari distaccamenti tenutasi a Novaretto, cadde in un'imboscata delle SS nella zona di Caprie; ferito, venne catturato e condannato a morte, avrebbe compiuto 22 anni pochi giorni dopo. Con Cima persero la vita il comandante Marcello Albertazzi e l'autista Camillo Altieri.

Il gruppo di ribelli, come venivano definiti i partigiani dai repubblichini, continuò a crescere e a meritare il consenso della popolazione che, in forme più o meno evidenti, aiutò questi giovani che sui monti difendevano la libertà. Come scrisse G. Salvemini nel 1950: “dietro agli uomini che rischiavano la vita nei colpi di mano contro i tedeschi e contro le brigate nere, c'era una seconda linea che provvedeva i viveri, nascondeva i feriti e proteggeva la fuga degli sconfitti”.

Nei primi mesi del 1944, le formazioni partigiane con giurisdizione sul territorio che comprende Val della Torre (da Condove alle porte di Torino) vennero costituite nella 17a Brigata Garibaldi “Felice Cima”, facente parte della III Divisione Garibaldi, al comando di Alessio Maffiodo (Alessio).

La rappresaglia tedesca e delle brigate nere continuò a mietere vittime. Il 15 aprile 1944 furono giustiziati Mulatero Carlo e Callet Elio sulla strada che da Grange di Brione conduce a Caselette. Un cippo, posto sul luogo dell'esecuzione, ricorda ai posteri questi martiri della libertà (fig. 2).

Fig. 4

L'eccidio al colle del Lys

Gli aderenti al Movimento di Liberazione continuarono a crescere e non mancò la presenza straniera; un gruppo di circa 40 russi (ucraini e georgiani), che lavoravano alla riparazione della linea ferroviaria Torino – Avigliana, si aggregò alla 17a Brigata Garibaldi formando un distaccamento, comandato da Andrej Gretcko, che fu dislocato nel vallone di Rubiana. Un cospicuo numero di partigiani cremonesi raggiunse la 17a Brigata per dar manforte in una posizione strategicamente rilevante essendo una via di comunicazione con la Francia.

La reazione dei nazifascisti alla considerevole crescita delle forze partigiane non tardò a farsi palese.

Il 2 luglio 1944 un'azione di rappresaglia, condotta da fascisti e tedeschi al colle del Lys, portò alla cattura di 26 partigiani che furono barbaramente torturati prima di essere trucidati. Enrico Fogliazza (Kiro), allora stretto collaboratore del comandante Deo, così ricorda l'eccidio al colle del Lys: “Fu una scena terrificante: trovammo Franco Scala (Franco) massacrato da diverse pugnalate al basso ventre; il giovane medico della brigata quasi nudo con i genitali squarciati. Raccapriccianti anche le condizioni dei cadaveri di Boccalini Edoardo (Bucalet), Zaniboni Alfredo (Fredo), Faleschini Benito (Sauro) e Conca Gianpiero, tutti di Cremona, del Guercio e di Guido di Collegno. Ventisei giovani erano stati massacrati in modo indescrivibile.”

I reduci dalla rappresaglia del colle del Lys si rifugiarono sulle pendici del Monte Rognoso e di li, con cadenza quasi giornaliera, il partigiano Gino di Rivoli, con due muli, faceva la spola con il magazzino di Val della Torre (Mulino di Punta) per rifornire dell'occorrente l'accampamento. La lunghezza del tragitto imponeva il pernottando, al rientro, alla Madonna della Bassa per riposare i muli e le stanche membra.

Altre operazioni militari, che toccarono anche la popolazione civile, furono compiute dalle forze nazifasciste con l'intento di creare un clima di paura atto a far “terra bruciata” attorno al Movimento di Liberazione. La reazione popolare fu contraria alle aspettative nazifasciste e la solidarietà verso le brigate partigiane crebbe. In alcuni comuni delle valli adiacenti al colle del Lys vennero celebrate messe a suffragio delle vittime dell'atroce eccidio e i parroci, con le loro prediche, seppero toccare il cuore della gente che aveva vissuto da vicino l'esperienza della rappresaglia compiuta da tedeschi e fascisti. Anche Val della Torre venne colpita dalla ferocia dei rastrellamenti contro le brigate partigiane subendone in totale ben diciassette.

Nuovi distaccamenti partigiani vengono organizzati a Favella, Rubiana e Val della Torre.

I partigiani scampati al rastrellamento del colle del Lys costituirono un nuovo distaccamento, che fu chiamato “Feleschini” in onore del più giovane dei martiri del 2 luglio, con al comando Amedeo Tonani (Deo) e si alloggiarono al santuario della Madonna della Bassa che, allora, era abbandonato da tempo . Quando Deo prese il comando dell'intera Brigata, il “Faleschini” fu comandato dal cuneese Pasero Luciano (Luci) e la carica di commissario fu ricoperta da Novasconi Attilio (Barbarossa) che verrà trucidato dal nemico nel gennaio del 1945 con Panni Leonida (Leo).

Fig. 5

La Resistenza continua

Da Val della Torre a Villardora e da Brione a Venaria Reale vennero formati dei gruppi mobili allo scopo di proteggere le vallate dove, i distaccamenti “Mulatero”, “Girotto”, “Mondiglio” (fig. 3), “Tolmino”, “Callet”, “Rossi-Ampelio”, “Zulian”, “Faleschini” e “Polizia e officina”, formarono l'ossatura della 17a Brigata Garibaldi “Felice Cima” con più di 500 partigiani.

Il 18 agosto 1944 venne messo in opera, da circa 170 partigiani appartenenti alla III divisione Garibaldi di cui la maggior parte facenti capo alla 17a Brigata “Felice Cima”, un piano studiato meticolosamente per colpire l'Aeritalia. Scopi dell'azione erano: impossessarsi di armamenti, sabotare gli impianti e, non ultimo, l'effetto psicologico generato da un colpo di tale rilevanza. I gruppi, al comando di Vittorio Blandino, Mario Castagno e Pino Monfrino, in 3 ore circa sabotarono il materiale bellico e distrussero archivi e disegni. Con la fattiva collaborazione degli operai, caricarono sugli autocarri: equipaggiamento militare, carburante, moschetti, munizioni e 180 mitragliatrici.

La 17a brigata Garibaldi “Felice Cima” partecipò a numerosi altri colpi di mano che misero a dura prova le milizie fasciste. Tra questi ricordiamo il colpo alla polveriera di Caselette, al Monopolio di Stato e l'appropriazione di quintali di cereali prelevati dai magazzini della “Folgore” di Rivoli (colpo conosciuto come “la cena delle beffe”).

L'attività di propaganda vide nascere, nell'agosto 1944 un giornale murale, curato dal distaccamento Faleschini, titolato “Saetta Garibaldina”. Altri distaccamenti della 17a pubblicarono giornali propagandistici per mantenere un contatto con la popolazione civile; tra essi ricordiamo: “Col del Lys” del distaccamento “Mulatero”, “I Cavalieri della Macchia” del “Mondiglio”, “Il Partigiano” del “Tolmino”, “La tre Vedette” del “Girotto”, mentre il Comando di Brigata pubblicò “Sentinella Garibaldina”.

I rastrellamenti continuarono a ritmo serrato e la 17a Brigata fu nell'occhio del ciclone.

Il 6 gennaio 1945, in seguito ad una segnalazione giunta al Comando di Brigata dal SIM (Servizio di Informazione Militare) secondo cui i nazifascisti stavano preparando un grande rastrellamento in zona, venne impartito l'ordine di svallamento in pianura e i distaccamenti furono spostati nelle seguenti località:

 

  • Distaccamento “Girotto” ad Alpignano – Torino
  • Distaccamento “Mulatero” a San Gillio – Pianezza
  • Distaccamento “Mondiglio” a Pianezza – Torino
  • Distaccamento “Tolmino” a Druento – Torino
  • Distaccamenti “Rossi-Ampelio” a Varisella
  • Distaccamento femminile “Anita Garibaldi” a Torino
  • Distaccamento del Commissariato civile a Leumann

 

Anche il comando venne dislocato a San Pancrazio (Pianezza) dove agivano il Gruppo Intendenza e il distaccamento “Callet”.

L'11 gennaio 1945 venne catturato, seviziato ed in seguito trucidato il partigiano valtorrese Gallo Albino di soli 23 anni (fig. 4).

Cinquemila fascisti e tedeschi raggiunsero, l'11 gennaio, Rubiana e, non trovando traccia dei partigiani della 17a, sfogarono la loro collera contro una squadra del distaccamento Faleschini ed alcuni garibaldini rimasti in loco per attirare il nemico senza accettare scontri. La rappresaglia non si fermò qui ma coinvolse anche la popolazione civile; tutto ciò che poteva essere dei partigiani venne distrutto, alcune abitazioni civili furono devastate ed i magazzini della Brigata vennero saccheggiati. Nella stessa giornata, il comandante Amedeo Tonani (Deo) fu intercettato da una squadra nazifascista, alla Madonna della Bassa, mentre scendeva a Val della Torre per recarsi ad una riunione a San Pancrazio. All'intimazione di alzare le mani Deo rispose estraendo la pistola e facendo fuoco, riuscì così a salvarsi pur rimanendo gravemente ferito alla coscia destra. Pochi mesi dopo, il 29 marzo 1945 in località Pra du Col (Monpellato), il comandante Amedeo Tonani (Deo) cadde sotto il fuco nemico. Nell'estremo tentativo di salvare il suo vice comandante, Deo fu colpito e morì il giorno successivo. Fu purtroppo inutile il nobile gesto poichè, il vice comandante della 17a Brigata, Rapuzzi Sergio (Pucci), perse la vita colpito al ventre da una pallottola dirompente. Con loro perirono altri quattro giovani partigiani: Gino, Paolo, Romualdo e Zini. A colmare le cariche vacanti dopo i tragici fatti sopra scritti, vennero insediati Rolle Pietro (Barba) come comandante e Torre Luciano (Luciano) come vice. Il comandante Barba fu ucciso in un conflitto a fuoco il 4 aprile 1945 e a lui successe Castagno Mario (Mario).

Da Val della Torre, dove in quel periodo il distaccamento “Mulatero” presidiava la mezza costa verso Madonna della Bassa, transitarono gruppi di partigiani che, da li, ripresero la via dei monti per poter contrastare la rappresaglia nazifascista.

 

La Liberazione (Aldo dice 26 x 1)

La situazione stava cambiando e si cominciava a sentire vicina la Liberazione. Le forze partigiane presidiarono ponti, dighe, fabbriche ed ogni altro luogo che potesse essere oggetto di attentati da parte del nemico in ritirata e si prepararono all'insurrezione finale. Le perdite umane, dovute alla barbarie fascista di questi giorni, furono notevoli. I distaccamenti della 17a Brigata, stanziati a valle, dopo l'ordine di svallamento, dovettero contrapporsi all'obbiettivo nemico di infliggere colpi decisivi alla Resistenza partigiana. Le necessità operative mutate richiesero maggiore mobilità e agilità alle squadre partigiane che costituirono dei punti di riferimento stabili in varie zone come Cascina delle Monache, Brione e alte località in Val della Torre. Bisognava colpire e sparire celermente. In una di queste azioni, il 7 febbraio 1945, venivano individuati e fucilati a Brione Farinelli Lodovico (Parin) di Torino, Fusari Mario (Cavour) di Milano e La Rosa Angelo (Cili) di Torino. Un cippo, sito in via Alpignano nei pressi della scuola elementare, ricorda il sacrificio di questi valorosi (fig. 5).

Poco prima della serrata finale il Comitato di Liberazione Nazionale (CLN) provvide ad emanare disposizioni atte a conferire il massimo di unità alle brigate partigiane variandone la struttura. La 17a Brigata Garibaldi “Felice Cima” venne mutata in 1a Brigata “Felice Cima” ed i Garibaldini, come tutti gli altri partigiani, vennero definiti Patrioti.

La sera del 24 aprile il Comitato di Liberazione Nazionale impartì, a tutti i Comandi di Zona, l'ordine n°3000/5 di insurrezione con la seguente circolare : “Aldo dice 26 x 1. Nemico in crisi finale. Applicate piano E27. Capi nemici et dirigenti fascisti in fuga. Fermate tutte le macchine et controllate rigorosamente passeggeri trattenendo persone sospette. Comandi Zona interessati abbiano massima cura assicurare viabilità forze alleate su strada Genova – Torino et Piacenza – Torino”. Il mattino seguente lo stesso dispaccio venne trasmesso dai Comandi di Zona alle formazioni partigiane.

Le brigate partigiane in valle insorsero liberando i territori sotto la loro giurisdizione e la 17a Brigata Garibaldi “Felice Cima” (noi la chiameremo ancora così) si attestò sulla linea Rivoli – Cafasse ostruendo così la via di fuga ai tedeschi in ritirata che, fermati, vennero tradotti al campo di prigionia di San Gillio – Givoletto.

Il 26 aprile la maggior parte delle formazioni partigiane scese verso Torino collaborando alla liberazione della città. Il 6 maggio 1945 la 17a Brigata Garibaldi “Felice Cima” partecipò con giusto orgoglio alla sfilata in una Torino finalmente libera. In quei giorni il ricordo andò, come va oggi, al tributo di sangue versato per riacquistare la libertà (fig. 6)

 

Un doveroso ricordo

 

Termino con il ricordo di una persona a me cara; un amico che ormai non c'è più ma che ci ha lasciato un insegnamento di coerenza etica da prendere ad esempio.

Guido Carbi, scampato alle vicissitudini della guerra, ha continuato a combattere con le armi della legalità e della giustizia la lotta contro la dittatura in favore della libertà e della pace. Il suo impegno nel perpetrare il ricordo di quel periodo di ribellione alla dittatura è sintetizzato dalle sue parole: “Quello che non sono riuscito a fare allora, da Partigiano, lo voglio fare adesso, per i giovani!”.

Nativo di Val della Torre (classe 1926) prese parte alle azioni partigiane svoltesi in zona dall'inizio del 1944 sino alla Liberazione. Con i fucili trafugati alla polveriera di Caselette armò i partigiani che salivano le nostre montagne. Fresatore in un'officina di Givoletto fu costretto a fuggire perchè braccato dai fascisti per deportarlo in Germania. Dopo aver girovagato in zona per circa due mesi, nel maggio del 1944 raggiunse i partigiani al colle del Lys.

Rimando chi voglia saperne di più su Giudo alla bella pubblicazione “Guido Carbi. Storia di un partigiano” facente parte della collana Briciole di Storia (vol.6), edito a cura del Comune di Val della Torre (Fig. 7). Da quel testo traggo, come conclusione, un frammento della prefazione a firma Giuseppe Pecoraro e Francesco Burrelli: “Noi non ti dimenticheremo, caro Guido. Apparteniamo alla schiera di quelle persone semplici che hanno rispettato quanto tu hai fatto.

[…] Su quelle montagne, e soprattutto al Colle del Lys, si respirerà sempre la tua presenza.

Ciao Guido”.

Giovanni Visetti

2 commenti
  1. anna
    anna dice:

    25 aprile, festa della Liberazione, giorno importante per la storia d'Italia, e degli italiani come Guido Carbi che si rese protagonista nel periodo bellico, in cui arrendersi o perire' fu il motto dei partigiani che in ogni luogo lottarono per la liberazione dalla dittatura fascista e dalla guerra.
    Per quelli come me, che non hanno conosciuto nè la guerra nè Guido, che hanno appreso la storia attraverso familiari e scuola, è importante conoscere altre realtà.
    Visetti ci ricorda la possibilità di approfondire l’argomento trattato, grazie alle testimonianze raccolte e scritte, nel libro indicato, che ho letto e che inviterei a leggere.
    Grazie Giovanni, come sempre puntuale.

    Rispondi
    • Giovanni Visetti
      Giovanni Visetti dice:

      Grazie a te, Anna, non solo per le belle parole nei miei confronti, ma soprattutto per il concetto che esprimi e che, purtroppo, non sempre è compreso. La libertà ci pare una cosa normale ma così non è. Dobbiamo difenderla anche ricordando chi ha dato la vita perchè noi potessimo vivere in pace e liberi.

      Rispondi

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